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#GiovedìQueer News

In dialogo con Giorgio Rainelli

Questo mese,il gruppo di lavoro del Giovedì Queer ci propone un’intervista con Giorgio Rainelli, uno dei fondatori della Rete Evangelica Fede e Omosessualità.

Nascita della REFO: cosa c’era prima? Chi ha dato vita al movimento che ha portato alla sua nascita?

La REFO (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) nasce nel 1998, in seguito ad un incontro del tutto casuale a Torre Pellice durante i lavori dell’assemblea della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia del novembre 1997. La REFO ha ereditato il percorso di Capernaum, un gruppo nato nell’ambito delle chiese valdesi delle Valli qualche anno prima, che aveva iniziato a proporre i temi della sessualità, della omossualità e dei rapporti tra fede, chiese ed omosessualità all’interno delle chiese delle Valli Valdesi. Capernaum era stato  creato  da un gruppo di giovani valdesi ed ha svolto la sua attività tra  le Valli e Torino.

L’idea era scattata per caso l’anno precedente durante un viaggio che avevamo fatto io e Luca Negro a Berlino per andare a trovare un nostro amico, Johannes. Era il 1° dicembre: giornata mondiale di lotta all’AIDS, ed anche un giorno di festa per l’incontro delle Drag Queen tedesche che si teneva in città. Quel giorno nel duomo (evangelico) di Berlino c’era un culto dedicato alle vittime dell’AIDS; ci siamo andati pensando che ci fosse poca gente, e invece…  il duomo era strapieno: gay, lesbiche, trangender, madri e padri che accompagnavano i figli e le figlie LGBT+ al culto tenendosi sotto braccio e sorridenti. E il culto era presieduto da due pastore e due pastori in toga e stola rainbow. Io ero lì con gli occhi sgranati e quasi piangevo per  l’emozione: era la prima volta che mi trovavo immerso in una folla di evangelici, non minoranza, finalmente, nel duomo di Berlino, e durante un culto esplicitamente dedicato a persone LGBT+ e presieduto da pastore e pastori LGBT+; non ho capito molto, ma la predicazione era incentrata sull’esperienza del deserto (wüste) come metafora della vita, della riflessione intima e della solidarietà. Poi la Cena del Signore, tutte e tutti che in fila si avvicinavano al tavolo, appunto padri e madri con figli e figlie sottobraccio, coppie di persone omosessuali che si tenevano per mano e, a un certo punto, dal fondo del tempio, in mezzo alle altre persone, cinque Drags vestite da suore, avete presente le suore degli ospedali col cappello a falde larghe? Sì, proprio loro, ma in minigonna, che tranquille vanno verso il tavolo della Santa Cena e prendono pane e vino dalle mani della pastora e senza batter ciglio tornano al loro posto. Ecco immaginate la scena. Da qui il mio sogno ad occhi aperti: se è possibile a Berlino perché non anche in Italia? Perché non nelle nostre chiese?

Ripensando a questa esperienza, e parlandone con qualche amico e amica a Torre Pellice, ci incontriamo: ricordo Luca Negro, Henry Olsen, Antonio Feltrin e qualche altro nella sala vicino al tempio di Torre; Henry già aveva in mente qualcosa, è così che è nata la REFO. Un momento per noi semplice come bere un bicchier d’acqua; neanche  immaginavamo cosa sarebbe successo dopo.

Chi ha realmente spinto, organizzato le cose e le persone per la nascita della REFO è stato Henry Olsen. Penso che senza di lui oggi non ci saremmo, e non saremmo cresciutɜ. Le sue idee, il suo contributo, il suo impegno sono stati unici e fondamentali per la sua costruzione della Rete, il suo percorso  e la sua crescita, e dobbiamo, tutti e tutte noi persone impegnate nelle REFO, dirgli grazie.

Qual è stato il percorso che ha portato all’approvazione dell’OdG del Sinodo 2010?

L’OdG del Sinodo delle chiese Metodiste e Valdesi del 2010 sulla benedizione delle coppie omosessuali non è stato un fulmine a ciel sereno, o un fortuito caso, in quanto già da lungo tempo nell’ambito delle chiese evangeliche italiane si era affrontato il tema della sessualità, ed in particolare  dell’omosessualità e dei rapporti tra omosessualità e fede, di come le chiese potessero, o volessero e dovessero, accogliere le persone omosessuali, senza se e senza ma. Nell’Assemblea-Sinodo 2000 fu istituito un gruppo BMV (battista, metodista, valdese) di lavoro sull’omosessualità  (GLOM) che produsse, forse per la prima volta, una serie di studi e schede esegetiche sui rapporti tra omosessualità e Scritture, analizzando i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento. 

Vanno ricordati ancora gli atti dell’Assemblea-Sinodo del 2007 in cui si dice, a proposito dell’amore di coppia di due persone omosessuali: “che l’essere umano sia fondamentalmente un essere in relazione con Dio e con il suo prossimo e che la relazione umana d’amore, vissuta in piena reciprocità e libertà, sia sostenuta dalla promessa di Dio”. Da questa dichiarazione alla decisione sinodale del 2010 di poter benedire l’unione di coppie dello stesso sesso il salto è stato breve, anche se non privo di ostacoli, a volte anche solo pretestuosi e legati a cavilli burocratici.

Quale è stato il ruolo dellɜ alleatɜ (cioè delle persone che non si identificano come LGBTQI+ ma ne sostengono le lotte), in particolare tra i membri delle chiese BMV, in questo percorso?

Chiaramente  il percorso di accoglienza ed inclusione delle persone LGBT+ nelle chiese non è stato privo di ostacoli ma, fortunatamente, in questo percorso le persone LGBT+ non si sono trovate sole, ma hanno trovato appoggio di pastori e pastore, di laiche e laici, senza distinzione di orientamento e/o genere sessuale. Importante è stato il contributo della componente giovanile delle nostre chiese, sia in ambito pastorale che non, e, cosa altrettanto fondamentale, moltɜ pastorɜ “adultɜ”, senza se e senza ma, hanno lottato per l’inclusione delle persone LGBT+ nelle chiese a tutti i livelli. Mi piace ricordare l’intervento di Giuseppe “Zizzi” Platone durante l’Assemblea Sinodo del  2007 in cui, con molta semplicità, ha affermato che di fronte a Dio l’amore è amore, punto; e la difesa di Anna Maffei, allora Presidente dell’UCEBI, riguardo all’indipendenza delle chiese nella scelta di un ministro di culto, prescindendo dall’orientamento sessuale, di fronte alle critiche di alcuni battisti europei riguardo alla scelta di una chiesa di un pastore omosessuale. Molte sono state e sono i/le credenti che hanno contribuito a far crescere nelle chiese evangeliche l’inclusività delle persone LGBT+, spronando le comunità a passare da una tolleranza, ad un’accoglienza, fino ad una inclusione reale nella vita delle chiese a tutti i livelli.

Sappiamo che sei battista. Puoi raccontarci come sono cambiate le comunità battiste nel rapporto con i credenti LGBTQI+ in questi anni? Essendo la struttura delle chiese battiste basata su un sistema congregazionalista, pensi che ci sia la possibilità che si arrivi entro breve a una posizione di apertura condivisa?

La realtà delle chiese battiste in Italia è estremamente variegata, così come nelle chiese metodiste e valdesi, in quanto le chiese non sono staccate dalla realtà sociale e ne rispecchiano le problematiche e gli aspetti, sia in positivo che in negativo. In generale si è passati da una totale “ignoranza” delle problematiche riguardanti l’omosessualità e le persone omosessuali ad una discussione più o meno aperta. Esistono comunità molto aperte che senza alcun problema accolgono ed includono persone omosessuali ed hanno pastorɜ dichiaratamente  omosessuali, altre ancora che “vanno coi piedi di piombo” verso la benedizione di unioni omoaffettive, ed infine altre comunità chiuse alle problematiche ed alla discussione; certamente nessuna comunità e nessun credente proclamerà che una persona LGBT+ non è degna dell’amore di Dio, ma….

Devo notare che molto spesso le comunità più conservatrici non conoscono persone LGBT+, o meglio, non vogliono vederle, per cui per loro il problema è meramente teorico; questi atteggiamenti tendono a cambiare quando entrano in contatto con persone dichiaratamente LGBT+ che vivono serenamente la propria vita sociale e di fede. Questo atteggiamento, purtroppo, è rilevabile non solo nelle chiese battiste, ma in tutte le realtà evangeliche italiane. Da notare che tutte le Assemblee UCEBI e tutti i documenti ufficiali condannano l’omobitransfobia, e raccomandano a tutte le chiese di praticare l’inclusione fattiva senza distinzione di genere o orientamento sessuale, e di partecipare alla lotta all’omobitransfobia, anche organizzando culti  nella giornata del 17 maggio, giornata mondiale di lotta all’omobitransfobia. 

Essendo la struttura delle chiese battiste una struttura congregazionalista, gli atti delle Assemblee sono delle raccomandazioni, ed al momento non hanno valore “coercitivo”; certo, si potrebbe discutere se questo sia l’autentico congregazionalismo e se questo tipo di congregazionalismo  sia la forma migliore di organizzazione, ma questo è un altro capitolo. Quello che mi preoccupa non poco sono, invece, le rivendicazioni identitarie delle chiese evangeliche, l’arroccarsi nel: “io sono valdese, io sono metodista, io sono battista”, quasi considerando defunta ogni collaborazione BMV.

Per quanto riguarda le posizioni  condivise di accoglienza di persone LGBT+ non saprei che dire,  posso solo augurarmi che le cose cambino, ma dipende fortemente dal potere e dalla volontà degli esecutivi di prendere posizioni ferme riguardo a certe tematiche, che al momento attuale  riguardano solo in parte l’omosessualità, che è la punta di un iceberg, ma che si estendono a visioni restrittive delle Scritture, fino ad a arrivare alla contestazione del pastorato femminile, e che coinvolgono non solo le chiese battiste, ma tutte le realtà protestanti italiane. Sono cose che fanno male all’animo, in un mondo che dovrebbe ispirarsi all’amore di Cristo, ma è inutile nascondersi sotto una coperta (peraltro, bucata).

Negli ultimi due decenni la composizione delle nostre chiese è molto cambiata; in particolare, abbiamo oggi, tra membri e simpatizzanti, moltissime persone provenienti da altri paesi, culture e tradizioni. Quali sono stati gli arricchimenti e i limiti di questo incontro?

Il fatto di entrare in contatto con realtà differenti ha portato ad una de-europeizzazione delle chiese del vecchio continente ed in particolare delle chiese italiane. Queste contaminazioni socio-culturali hanno permesso senza dubbio un arricchimento, ad esempio sul piano liturgico e partecipativo ai culti (insomma, diciamocelo: spesso i culti protestanti italiani erano e sono un po’ tristanzuoli!), ma anche di contraltare: spesso, alcune posizioni etiche e teologiche sono  meno “liberali”. Penso che questo fenomeno sia, però, legato al fatto che la società italiana stia facendo passi indietro, o almeno qualcuno ci stia provando, come nel caso della riproposizione di modelli patriarcali  e decisamente machisti, che si riflettono nelle nostre chiese, mettendo addirittura in discussione il  ministero  femminile o di persone LGBT+. Con questo occorre fare i conti: insomma, se nella società si propongono modelli discriminatori, questo non può che riverberarsi nelle chiese.

Dal 2021 la Commissione Fede e Omosessualità, espressione delle chiese BMV, ha cambiato nome in Commissione Genere e Sessualità. Qual è il processo che ha portato a questo cambio di denominazione?

Il processo è stato naturale nel senso che ci si è resɜ conto che, nonostante non siano totalmente risolti i nodi dei rapporti tra chiese, fede e omosessualità, non era più sufficiente affrontare in discorso solo da quel punto di vista. Le realtà cambiano, appaiono nuovi aspetti sia a livello teorico che, soprattutto, pratico; non ha più senso parlare di eterosessualità e omosessualità, maschio e femmina, uomo e donna tout court. Bisogna prendere atto che la sessualità e/o il genere possono essere fluidi. Non si possono tagliare fuori, ad esempio, le persone transgender e le loro esigenze di spiritualità e partecipazione alla vita ecclesiale. Mentre  l’accoglienza, se non l’inclusività, delle persone omosessuali, è all’ordine del giorno, ed il contrasto all’omofobia (almeno per essere politicamente correttɜ) è un dato di fatto, restano aperti gli argomenti riguardanti l’accoglienza delle persone transgender, le interpretazioni restrittive di testi biblici, le problematiche etiche riguardanti il cambiamento di sesso (anche solo sui documenti), le difficoltà di cambiare atteggiamento e linguaggio verso  persone transgender e, ammettiamolo, una transfobia latente, o spesso nascosta, ma pur sempre transfobia, sia a livello di comunità che di organismi delle chiese.

Restano ancora da affrontare nelle chiese tutti gli argomenti riguardanti la gravidanza per altri, la genitorialità delle persone single e delle coppie omosessuali, l’adozione di persone singole e/o di coppie omosessuali; insomma, il mare degli argomenti è vasto e non si può rinchiudere nei paletti omosessualità e fede.