Questo è un croccofante, dice uno passando un temperino verde a un altro.
L’altro potrebbe ribattere: ma no, è un temperino!
Invece no. Il primo insiste: questo è un croccofante.
Che cos’è? dice il secondo, con aria interrogativa
Un croccofante, risponde il primo. Mi sembra ovvio.
Il secondo lo passa a un terzo, dicendo: questo è un croccofante.
Il terzo strabuzza gli occhi e dice: che cos’è?
Il secondo si rivolge al primo: che cos’è?
Il primo dice: un croccofante.
Il secondo: un croccofante.
Il terzo lo prende, e si rivolge a una quarta: questo è un croccofante, dice.
E lei: che cos’è??
e lui, al secondo: che cos’è?
e il secondo al primo: che cos’è?
E il primo: un croccofante!
E il secondo: un croccofante.
E il terzo: un croccofante.
Questo è un croccofante, dice la quarta passandolo al quinto.
Il gioco potrebbe andare avanti per ore.
Ma che cavolo è un croccofante?
Vedete, io lo so cos’è un croccofante. Però mi è un po’ complicato spiegarlo in una sola parola. Se vi interessa, posso provare a raccontarvelo, ma sappiate che ci vorrà un po’, che potrei annoiarvi, o che potrei sembrarvi matta. A voi la scelta se leggere o meno.
Esiste un posto, in Sicilia, affacciato sul Mediterraneo. Lo accarezza il sole, lo scuote il vento, lo culla il mare. Lo popolano, solo d’estate, quelli che sanno che esiste, che sanno com’è o ne hanno sentito parlare, e che hanno voglia di sobbarcarsi il viaggio. Quindi, pochi. Questo posto si chiama Adelfia, che vuol dire fratellanza.
C’è un mattonato giallo sotto una tettoia. Lì si mangia, perchè sale da pranzo non ce n’è. I gabinetti sono pochi, e non possono inghiottire carta igienica, se vuoi che funzionino. Per questo, ci sono accanto i cestini. Spesso manca l’acqua, e primi che arrivi l’autobotte può passare un giorno o due. Ovviamente non c’è lavastoviglie, e i piatti vanno lavati a mano. Le stanze possono ospitare, stipandole, da quattro a sei persone, senza distinzioni di sesso, su letti a castello vecchi e cigolanti dalle doghe mobili, o su brandine senza spina dorsale. I bagni chiaramente sono comuni, e hanno solo due docce. Si fa la fila e si attende il proprio turno, oppure ci si fa la doccia fuori, con l’acqua fredda. O meglio ancora, in spiaggia, così il centro risparmia acqua. E una sola doccia al giorno, per carità. Come dicevo, c’è la spiaggia. Proprio lì davanti, basta scendere una ventina di gradini senza corrimano e attraversare la Cammarana facendo attenzione a non essere arrotati dai Suv. E’ una spiaggia di sabbia, bella rovente, che proprio in corrispondenza dell’accesso al mare lascia il posto a uno spesso strato di sassolini appuntiti.
Si sta bene, ad Adelfia.
Per il fatto che vivi praticamente a cielo aperto, il cielo ti riempie gli occhi, e così il mare, che qui certamente non fa il timido: non sta mai zitto, e si mostra in tutto il suo splendore luccicante e spumeggiante in qualunque momento tu lo voglia, appena ti avvicini a quella terrazza grande, semicircolare, delimitata solo da un muretto. Quando si fa sera, tutti accorrono alla terrazza, e si siedono: è ora dello spettacolo. Il sole esce di scena, e saluta il suo pubblico con un tramonto mai uguale a un altro, impilando sopra di sè uno strato di colori che nessuna macchina fotografica riesce a catturare come si deve. Ocra, arancio, rosa, lilla, indaco, e sopra è già blu, e sotto è rosso fuoco, e il mare resta grigio perchè sa a chi deve lasciare la scena quando è il momento: fa solo una dolcissima controscena, cantando piano la sua canzone ritmica e scrosciante.
Cantiamo anche noi! Cantiamo?
Akanamandla, alleluia! Akanamandla u satanè!
Il diavolo è stato sconfitto, sarebbe a dire.
Incominciano i bassi, scavando le fondamenta con note solide e profonde, mobili eppure stabili, con volti gravi come si conviene a chi svolge un compito importante: noi siamo la terra, senza di noi si cade. Dovete fidarvi di noi, caderci in braccio. Sopra di loro, i tenori, più lisci e leggeri, costruiscono l’impalcatura armonica innalzando mura alte una quinta, con l’aria ascetica di chi pensa: noi siamo le ossa, senza di noi si cade. Dovete abbracciarci, circondarci, e non dimenticare mai la nostra presenza, perchè siamo forti, ma delicati. Una strofa dopo, i contralti, sull’ottava più alta, disegnano piccoli gradini, delineano mura interne, aprono e chiudono finestre, tracciando linee dolci e decise con un sorriso malizioso e seducente: noi siamo la rete, senza di noi si cade. Dovete prenderci, tenderci, e mai sovrastarci. E infine, in gradevolissimo controtempo, i soprani chiudono il tetto coi loro svolazzi rapidi e precisi, pennellando gli ultimi dettagli essenziali con sguardo vivace e gioioso, e sicuro, come chi sa di essere importante: noi siamo le ali, senza di noi si cade. Dovete sostenerci anche voi, però, se volete volare.
Qui si può volare, che voi ci crediate o no. Perchè qui niente è ordinario.
Ti sbucci un ginocchio e non ti fa male.
Ingrassi e ti piaci lo stesso.
Fai il bucato e lo trovi piacevole.
Senti che vuoi bene a qualcuno e senza pudori glie lo dici.
Senti la voce di Dio e gli rispondi.
Cammini e non ti stanchi.
Corri e non ti affatichi.
Ti alzi in volo, come un’aquila.
Che splendida, varia umanità si incontra ad Adelfia! C’è chi per stare al sole deve ricoprirsi di crema per neonati albini pena l’autocombustione, e chi la crema neanche la compra, chè tanto più nero di così non può diventare. C’è chi dopo il mare sfoggia una criniera da leone e chi, diciamo, non ha mai bisogno del fon. Ci sono ragazzi che portano la loro ragazza e ragazzi che invitano il loro ragazzo. C’è chi viene da un altro paese e dice “minchia” con altrattanta convinzione di un siciliano autoctono. C’è chi, quando gli chiedi di dov’è, prima ti dice dove è nato e poi dove sta.
Ma, per questa settimana, siamo tutti di qui. Apparteniamo al mare, al sole, al vento. Apparteniamo ciascuno all’altra, e possiamo anche dimenticarcene, ma basterà guardarci negli occhi e…
Questi occhi non li dimentico.
Occhi scuri, dolci, curiosamente inclinati all’ingiù, accompagnano sorrisi maliziosi e accolgono la meraviglia, e sanno leggere la Parola con singolare attenzione… occhi umili, saggi e attenti.
Occhi chiari e insieme profondi, di un azzurro impastato di grigio, sotto una fronte aggrottata, velati di una malinconia testarda da artista, e traboccanti di passione da innamorato.
Occhi limpidissimi, celesti e puri, buoni per definizione e senza inganni, ti inchiodano con semplicità disarmante, ti scavano nell’anima e si lasciano scavare.
Adelfia vuol dire fratellanza, e per chi la conosce vuol dire anche magia, meraviglia, commozione. Più che un luogo, Adelfia è uno stato d’animo, che fuori di qui è difficile ritrovare. Adelfia ti appartiene e tu appartieni a lei. Puoi non tornarci, ma una volta che ci sei stato te la porti dietro, te la porti dentro.
Parlare di Adelfia al resto del mondo è come dire:
Questo è un croccofante.
Non ti capiranno mai.
Bisogna che la vedano.
Io non vi dico più niente.
P.S: Avete ragione, non vi ho detto cos’è un croccofante. La verità è che un croccofante è quel che voi volete che sia. Un po’ come Adelfia, o come la vita.
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