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Essere tagliati fuori dalle proprie comunità: che cos’è l’ostracismo oggi

Ci hanno insegnato sin dalle elementari che nell’antica Grecia è nata la democrazia, cioè il governo del popolo: l’assemblea cittadina, che riuniva tutti i cittadini maschi, adulti e liberi, prendeva le sue decisioni attraverso il voto. Anche l’ostracismo è una pratica che risale all’antica democrazia greca: l’ostrakon, infatti, era il pezzo di coccio sul quale i partecipanti all’assemblea scrivevano il nome della persona che volevano allontanare dalla città perché ritenuta socialmente pericolosa. Questa persona doveva perciò abbandonare la sua casa, i suoi affetti e i suoi beni, e scomparire per anni, o per sempre. Chi ha studiato il greco sa che il nome di quell’assemblea era ekklesìa, cioè la parola che ha dato origine alla parola “chiesa”.

E in effetti anche le chiese, in maniera più o meno democratica, si sono sempre riservate il diritto di allontanare un loro membro ritenuto pericoloso o anche soltanto non degno di farne parte. Negli ultimi anni il caso più diffuso è quello delle persone LGBT, che, mentre in passato passavano tutta la vita a nascondere la propria identità, oggi, che si è diffusa la pratica del coming out, sono facilmente oggetto di trattamenti simili all’ostracismo greco. Certo, almeno legalmente, nessuno può costringerle a cambiare città e non farsi più vedere in giro, ma se l’intera comunità in cui una persona è nata e cresciuta e ha costruito i propri affetti decide di colpo di ostracizzarla, le conseguenze possono essere molto gravi per la sua salute mentale e anche per la sua stessa incolumità. L’essere umano, infatti, è un animale sociale, e l’allontanamento dai suoi affetti più profondi può causare traumi e ferite difficili da guarire.

Come in tutte le cose, anche l’ostracismo ha una scala di intensità: si osservano infatti situazioni nelle quali il soggetto non è completamente allontanato dal suo gruppo di appartenenza, ma viene escluso dagli inviti a eventi sociali o privato degli incarichi per i quali gli era stata rivolta vocazione: pensiamo, ad esempio, al caso di un monitore della scuola domenicale che viene rimosso dopo il suo coming out (o, peggio ancora, dopo che qualcuno ha diffuso voci sulla sua omosessualità, cioè gli ha fatto outing).

Alcune comunità religiose di stampo fondamentalista hanno invece messo a punto una pratica dell’ostracismo molto strutturata e radicale. L’iter è tanto banale quanto efficace:

1) un fedele si allontana o viene dissociato per qualsiasi motivo dalla comunità (perché si rende conto di non riconoscersi più in essa, perché si innamora di una persona che ne è al di fuori, o, spesso, perché è gay o lesbica);

2) dopo la dissociazione parte la pratica dell’ostracismo: i fedeli di quella comunità smettono – totalmente e da un giorno all’altro – di rivolgergli/le la parola. Diventa così invisibile a quelli che fino a ieri erano i suoi genitori, la sua famiglia, il suo gruppo di amici;

3) Si sente sempre più solo – perché tutte le persone che frequentava fino a quel momento interrompono i rapporti con lui/lei. Se la vittima di ostracismo non è pronta, in quel momento, a restare sola, per poi ricostruirsi una rete di affetti altrove, finisce per ricadere dentro una comunità che in realtà si comporta in modo abusivo e controllante.

Questo iter fa parte di un ciclo di violenza psicologica di cui ancora troppo poco si parla. Speriamo che se ne parli sempre di più e incoraggiamo tutte e tutti coloro che vivono una forma più o meno sottile di ostracismo a parlare della propria esperienza, per rompere il silenzio. Vi presentiamo di seguito una testimonianza di una giovane che è stata vittima di ostracismo da parte della propria famiglia.

“Ho vissuto l’ostracismo sulla mia pelle. Quando feci coming out con mia madre, lei proveniente da una chiesa pentecostale, non capiva e non provava a capire la mia identità lesbica. Anche tutti i miei parenti da parte sua smisero di trattarmi come prima: da ragazza modello, studiosa e diligente passai ad essere invisibile. Non mi prendevano più in considerazione quando parlavo, mi trattavano con sufficienza e mai più una telefonata per sapere se stavo bene.

Allora ho deciso di ripartire da zero e crearmi io una nuova famiglia: il gruppo giovani, il gruppo di attivist* LGBTQ+ della mia città, la mia fidanzata. Sono ripartita da lì. Adesso finalmente mi sento serena perché sono veramente io senza nascondermi da nessuno, finalmente sono uscita dall’armadio ed è una sensazione bellissima. Non cedete a chi vi vorrebbe diverso/a da quello che siete, vi prego. Fatelo per voi, per la vostra identità, per la vostra dignità e per la vostra salute mentale.

Abbiate cura di voi.”

La Fgei ribadisce a gran voce che escludere qualcuno dalla propria comunità di fede è un atteggiamento che va contro l’insegnamento di Gesù, che anzi è stato il primo ad accogliere coloro che, per la legge e i costumi del suo tempo, erano considerati ”impuri” e inavvicinabili. Allo stesso modo, siamo chiamate e chiamati all’accoglienza di chi soffre, di chi è esclusa, di chi è ostracizzato a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere.

Per chi lo desidera, a questo link c’è uno studio americano sul tema dell’ostracismo.

Link: https://www.researchgate.net/publication/324827136_Ostracism_as_a_framework_for_understanding_LGBT_well-being_and_risk

Articolo a cura del gruppo di lavoro #GiovedìQueer della FGEI