Le sfide che abbiamo dovuto affrontare nel corso dell’anno passato e, alle soglie di questo appena iniziato ci fanno ricordare la chiamata che Gesù Cristo ci rivolge all’essere unità e all’agire comune con una sempre maggiore urgenza.
Non possiamo che essere riconoscenti reciprocamente per i frutti e i passi condivisi lungo la strada del cammino ecumenico e per tutti i semi che sono stati posti nella certezza che porteranno frutto e metteranno radici. Quest’esperienza non può che essere una gioia che ci porta a guardare avanti con speranza e con una visione allargata, riconoscendo che ancora
tanti sono i passi da compiere: molte sono ancora le motivazioni, i momenti che portano ad una separazione o ad una comunione di forma ma non di spirito. Va ancora lavorato e sperimentato l’incontro che ponga le basi per il dialogo teologico e di co-operazione come operai e operaie della vigna del Signore.
Il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, “rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (Gv 15,5-9) ci invita a riconoscere, oltre le differenze teologiche, storiche ed ecclesiologiche che ci caratterizzano, l’unità del battesimo come comune
sorgente della fede.
A motivo di questa, infatti, ci sentiamo interpellati ed interpellate ad una chiamata comune al discepolato, vedendo nella comunione fraterna e nello scambio il luogo per maturarla e confermarla quotidianamente. Nella settimana della preghiera per l’unità dei cristiani accogliamo la Parola, perché possa convertirci, accogliamo gli altri e le altre, perché possiamo essere di sostegno e farci sostenere, accogliamo il creato per potercene prendere cura, rendendoci conto dell’essere parti di un disegno più grande di noi.
Il ritmo che scandisce questi otto giorni ci invita a guardare e a prendere coscienza di quella parte di sconosciuto e di inatteso che la pandemia da Covid-19 ci ha posto innanzi: la morte, la sofferenza, la diffidenza e la paura hanno fatto irruzione nelle nostre vite, eppure sappiamo di non poterle isolare, ma di doverle riconnetterle a tutti quegli aspetti di impotenza e di difficoltà reale che sono stati messi in mostra. Le nostre comunità hanno
riscoperto la fragilità dell’esistenza ma anche la vulnerabilità dei legami sociali, la precarietà dei sistemi economici e sanitari, la frangibilità delle strutture politiche e sociali.
Limiti strutturali davanti ai quali non vogliamo arenarci, ma che vogliamo portare nella forza trasformatrice della preghiera, cominciando riconoscendo il nostro ruolo in questa crisi. Ma confidiamo che possano essere anche i luoghi dai quali ripartire per una nuova realtà dove abitare e una nuova consapevolezza della tutela del bene supremo. Come tralci dell’unica vite nella quale siamo chiamati e chiamate ad abitare, per poter portare assieme i frutti e viverli nell’ottica della reciprocità e nella carità.
Che sia questo un altro tratto di strada da condividere? Concordiamo nel rispondere “sì”.
E il Signore mi ha detto: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si rende perfetta nella debolezza”.
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