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Drag

Questo mese abbiamo deciso di parlare di una pratica che rompe e supera i confini tra generi e sessualità e che ha a che fare con il mondo della performance artistica: il drag.

È sicuramente complesso definire il nascere della pratica delle drag queen nel corso della storia. Spesso si collega questa pratica al mondo transgender, commettendo errori e strafalcioni non da poco. Innumerevoli sono le sfumature che avvicinano questi due mondi, ma che allo stesso tempo li allontanano, soprattutto in tempi recenti.

È innegabile legare questa pratica, intesa come “vestizione dei vestiti di qualcuno del sesso opposto” al mondo dello spettacolo e del teatro. Se si pensa ai tempi in cui non era possibile per le le donne recitare nelle compagnie di teatro, era normale che gli uomini – soprattutto quelli più giovani – vestissero e recitassero i ruoli di personaggi femminili. Questo tuttavia, si discosta molto nel tempo e nella pratica di ciò che al giorno d’oggi è identificato col mondo delle drag queen e king. Non si tratta solamente di una questione di spettacolo, ma anche di difesa di una pratica di libertà e di militanza: il fatto stesso di rompere la norma eterosessuale che abita ogni spazio delle nostre culture attraverso l’uso anche “esagerato” di indumenti ed oggetti tradizionalmente identificati con il sesso opposto è un primo atto di scandalo e di disturbo in quel monolite del patriarcato, che sottolinea e gioca allo stesso tempo quello che Judith Butler ha definito le performance del genere, ovvero il vestire, dire, agire come la società impone al proprio genere: la pratica del drag smonta con ironia e con spettacolo questa idea creando disturbo e sgomento.

Nel corso degli anni ‘60-’70 in cui nascevano e si costruivano i collettivi del mondo LGBTQ, anche il mondo drag ha avuto la sua influenza e il suo ruolo, emblematici a tal propositi i gesti di ribellione violenta di Marsha P. Johnson (drag queen) e Sylvia Rivera (attivista trans) che diedero avvio ai moti di Stonewall nel giugno del 1969. Per certi versi c’era la rivendicazione autentica di quello spazio proprio come sfida, comica e di spettacolo per testimoniare l’esistere di una liberazione non solo politica, ma anche teatrale ed artistica. Con il passare degli anni e della ridefinizione delle categorie di genere e di appartenenza, anche il mondo drag si è trasformato al suo interno, e varie opinioni ed auto definizioni si sono affacciate.

Chiaramente non è possibile esaurire in questo nostro spazio la totalità delle visioni e delle percezioni delle drag queen e dei drag king. Le interviste che vi proponiamo, alle drag queen Marcella e Nuvenia, sono una delle possibili auto comprensioni da parte di chi pratica e vive questo mondo. Non è possibile, quindi ridurre il mondo drag a ciò che segue, ma allo stesso tempo è importante riconoscere il valore anche artistico e di performance che questo ha da sempre avuto sin dalla sua nascita, senza dimenticare però il valore politico che la pratica ha rivestito da parte di uomini che sono drag queen, come di donne che sono drag king.

Abbiamo scelto di farlo con due interviste: la prima a due Drag Queen, Marcella e Nuvenia, nella vita compagni e colleghi di lavoro da oltre 20 anni, la seconda al pastore battista Dario Monaco. Lasciamo quindi la parola a Marcella, Nuvenia e Dario, buona lettura!

Intervista alle drag Nuvenia e Marcella

Nuvenia

Per chi non ha mai sentito parlare di Drag Queen, potete spiegarci cosa significa il termine Drag, cos’è e cosa fa una Drag Queen?

Drag è l’acronimo di “dressed as a girl” ovvero “vestit* come una ragazza”, queen invece come si può immaginare significa semplicemente regina. Generalmente le Drag Queen sono uomini gay che si travestono da donne sfoggiando trucco, parrucche e vestiti volutamente eccentrici per fare divertire la gente. Le Drag Queen sono dunque performer ed il loro è un lavoro retribuito; le esibizioni si svolgono presso ristoranti, teatri, feste popolari o in piazza. Nella precarietà lavorativa in cui viviamo, per alcun* è diventato il lavoro principale, per altr* un lavoretto per arrotondare le entrate. Con la pandemia in corso poi, naturalmente, tutto è sospeso. Se qualcuno avesse voglia di approfondire e conoscere meglio il mondo Drag consigliamo la visione del film “Priscilla, la regina del deserto” (titolo originale The Adventures of Priscilla, Queen of the Desert 1994)

Come hai cominciato?

Marcella: mi hanno portato a vedere un gruppo, ed ho sentito dentro di me la Drag Marcella che urlava!

Nuvenia: ho iniziato tramite il mio compagno, la Drag Queen Marcella.

Dato il trucco, le parrucche ed i vestiti esagerati, che molte volte rappresentano un ipersessualizzazione ed una femminilità stereotipata, cosa rispondete a chi ritiene che ci sia una forte componente di sessismo e transfobia nel mondo drag?

Il sessismo, la transfobia come l’omofobia sono discriminazioni che si basano su orientamento ed identità sessuale con l’intento assurdo di voler valutare e giudicare le persone in base a questo. Personalmente noi rifiutiamo tutte le discriminazioni di cui in prima persona siamo vittime essendo gay e non godendo di pari diritti rispetto alle persone eterosessuali (ad oggi in Italia manca il matrimonio egualitario e una coppia gay non può adottare figli) vogliamo pari diritti per tutte le persone LGBTQIA+ e il nostro lavoro come Drag Queen non vuole essere affatto uno sfottò o una discriminazione, è una performance con l’intento di divertire.

Che tipo di reazioni incontrate quando siete in Drag?

Solitamente la gente è molto divertita, il pubblico ammira l’ironia e le imitazioni e si diverte vedendo un uomo vestito da donna esibirsi in performance di spettacolo.

Che consigli dareste a qualcuno che volesse provare a fare Drag?

Il consiglio è frequentare spettacoli, vedere come si truccano le altre drag, inoltre esistono anche accademie di Drag. Noi ne avevamo aperto una scuola per drag queen a Bologna, la prima scuola drag d’Italia.

Drag Nuvenia, ci hai detto di essere credente, cosa rispondi a chi ti dice che la fede cristiana e la pratica del drag sono inconciliabili?

Rispondo che Gesù Cristo non ha mai detto nulla contro gli omosessuali, le persone LGBTQIA+ o contro chi indossa una parrucca e un vestito colorato per fare uno spettacolo. La fede cristiana è fiducia nel Signore Gesù Cristo, nel Suo Amore per tutt* e nella Sua salvezza che avviene per Grazia. Credo nei comandamenti d’amore nei confronti di Dio e del nostro prossimo, anche se è diverso da noi.
I versetti biblici utilizzati dagli omofobi per condannare l’omosessualità si riferiscono in realtà a chi volontariamente decideva di rompere per sempre la relazione con Dio; nel mondo antico alcuni riti idolatrici prevedevano infatti pratiche sessuali -per giunta di ogni orientamento, anche eterosessuale – per liturgie di adorazione alle divinità pagane. Il Dio della Bibbia condanna queste pratiche non in termini morali ma religiosi: utilizzare cioè la sessualità all’interno questi riti. Poiché nessuno oggi pratica drag o compie atti sessuali all’interno di riti pagani, rispondo che secondo me nulla di tutto ciò è in contraddizione con la fede cristiana.

La tua comunità sa che pratichi il drag? Se sì, come ha reagito? Se no, come pensi che reagirebbe?

Non ho per il momento una comunità fissa, nel senso che non sono iscritto nel registro di una comunità. Sono un credente e attivista per i diritti delle persone LGBTQIA+ ed ho per questo parlato con alcuni pastori e pastore valdesi o metodisti/e della mia omosessualità e della mia fede. Non ho invece ancora avuto occasione di parlare del mio essere una drag queen, non per pudore, ma perché non penso sia così rilevante. Credo che la mia chiesa sia aperta e non bigotta, che sappia accogliermi come ci accoglie il Signore. Mi ritrovo nell’approccio che hanno i protestanti storici sulla sessualità in tutte le sue forme, che non sono ritenute un peccato di cui pentirsi ma un dono di Dio.Non penso quindi che reagirebbero male e aggiungo che è davvero importante incontrare sempre più spesso pastor* e fedeli gay friendly, un incoraggiamento in questo mondo spesso ostile verso di noi.

Intervista a Dario Monaco, pastore battista della comunità di Mottola (TA)

Nel libro del Deuteronomio al versetto 5 del capitolo 22 troviamo scritto: “La donna non si vestirà da uomo, e l’uomo non si vestirà da donna poiché il SIGNORE, il tuo Dio, detesta chiunque fa tali cose.” Questa affermazione sembra condannare la pratica drag, e non solo: è così o c’è un’esegesi più profondo e in linea con il contesto in cui è stato redatto il testo del Deuteronomio?

Purtroppo l’apparenza, in questo caso, non inganna. Il testo è chiaro nelle sue intenzioni, nessun tipo di inversione di ruolo di genere è ammessa dal Deuteronomio. Quello di cui si parla qui, quindi, non è il travestitismo, quindi, ma la “rottura dei ruoli prestabiliti” che ne consegue. Questo deriva dalla necessità, per la Torah, e la sua successiva interpretazione, di assegnare un ordine rigoroso che fungesse da garante per la giustizia e la correttezza dei costumi. Pochi versi prima, al capitolo 21, leggiamo che i genitori possono portare a processo il figlio disubbidiente, e vederlo condannato a morte. Il concetto è esattamente lo stesso: i ruoli sono rigidamente costituiti, e vanno rispettati.
In nessun modo possiamo prendere questa visione del mondo e adattarla al nostro contesto, e se, raramente, troviamo qualcosa che potrebbe anche rispondere ai nostri canoni legali e di vivere comune, la maggior parte incontriamo regole per noi assurde, come uccidere un figlio disubbidiente, o proclamare la blasfemia per una inversione dei ruoli di genere, quale che sia l’intento. Questo è uno dei casi in cui capiamo con chiarezza cosa intende l’apostolo Paolo quando scrive ai Romani: “la legge dà soltanto la conoscenza del peccato. Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio”. (Rom. 3:20-21a)

Come pensi che reagireste tu e la tua comunità se all’interno della comunità ci fosse una una persona che apertamente pratica il drag?

La domanda non ha una risposta semplice. A parte l’esegesi biblica, e l’ermeneutica doverosa, anche a partire dai segni dei tempi, bisogna fare i conti con le persone vere, i membri di chiesa, donne e uomini che hanno ognuno una loro storia particolare e ognuna un differente grado di comprensione.
Se parliamo della mia comunità, in un paese del Sud, sicuramente ci sarebbero opposizioni, qualcuno si scandalizzerebbe, ma basandosi su una conoscenza, tutto sommato, abbastanza profonda le une degli altri, e con un po’ di lavoro, penso che ci sarebbero sorprese, da ogni lato.
Per quanto riguarda me, se partiamo dal presupposto che il drag è una espressione artistica, mi assicurerei un posto in prima fila per il prossimo spettacolo!

Cosa penseresti di un* pastor* che abbia praticato o pratichi Drag? E cosa penseresti se, in un contesto dedicato a tematiche LGBTQIA+ decidesse di tenere la predicazione in drag?

Niente in contrario ad una predicazione in drag, soprattutto in un contesto adeguato, in cui, magari, questo metodo possa far risaltare il messaggio, ma credo che ci vorrebbe molta attenzione. Nell’intervista, leggo che “Generalmente le Drag Queen sono uomini gay che si travestono da donne […] per fare divertire la gente. Le Drag Queen sono dunque performer…”.
Se un pastore praticasse, o avesse praticato drag, questo rientrerebbe in quelle competenze artistiche che, secondo me, ogni pastor* dovrebbe curare di più. Diversa, invece, sarebbe una predicazione in drag, perché sarebbe una predicazione mischiata ad una performance artistica. Personalmente non avrei nessun problema a mischiare questi due generi, ma bisogna fare molta attenzione che la parte artistica non prevalga sulla predicazione, o che non vengano banalizzate, né l’una, né l’altra. In più in Italia, e nel nostro ambiente BMV, non siamo molto abituat* a contaminazioni di questo tipo.
La contaminazione tra performance artistica e predicazione, nel nostro ambiente e con la nostra teologia, mi “preoccupa” di più che il supposto “scandalo” di un uomo vestito da donna.

Ringraziamo Gabriele Bertin per l’introduzione, oltre che Nuvenia, Marcella e Dario per le interviste.