#GiovedìQueer News

Cristianesimo e Omofobia: decostruzione di un pregiudizio

Del vero cristianesimo, del cristianesimo che si vede da fuori, di qualche atleta di Dio e anche un po’ di follia…

Un campo studi su genere e sessualità. Attività e attivismo per l’inclusione della comunità LGBTQIA+ nelle nostre, sia religiose che civili. Impegno politico, voglia di un mondo diverso, più giusto. Siamo tutto questo, lo siamo quando ci incontriamo nelle nostre attività, nei campi, nelle chiese o, ultimamente, online. Eppure, guardando fuori da noi, è difficile non accorgersi che lo spazio pubblico è dominato da una versione del cristianesimo malata di odio e discriminazione, di giudizio e condanna. Non si tratta solo di media tradizionali e social, ma anche di spazi politici: l’unico cristianesimo rappresentato nella politica è quello fondamentalista. Il meno bigotto dei cristiani e delle cristiane nel palcoscenico internazionale è il Papa, e questo già rende l’idea della tragicità della situazione. La situazione non migliora se guardiamo alla sola Italia, anzi, e nemmeno restringendo il campo alle sole chiese protestanti.

Quando ci confrontiamo riguardo la nostra fede con persone che non appartengono alle nostre chiese e alla nostra Federazione si aprono vari scenari. Noi parleremo di due: le accuse di fondamentalismo e di “cristianesimo all’acqua di rose”, non autentico. Del resto, la mente di chi ha sentito parlare di “chiesa evangelica” vola quasi sempre alle megachurch statunitensi, ai presidenti discutibili, ai campi di concentramento per omosessuali (chiamarla “terapia” non cambia i fatti). Qualche volta non avviene, ma ecco che allora si può passare al pensiero per cui la nostra sia una versione soft del cristianesimo, in cui prendiamo dalle Scritture solo ciò che ci fa comodo scartando le parti che vanno in contrasto con il nostro pensiero.

Passiamo quindi a questi due scenari, in due racconti.

Atleti di Dio?

Aprile 2019. Israel Folau, uno dei giocatori di punta di una delle nazionali di rugby più forti del mondo, l’Australia, viene buttato fuori dalla squadra dopo aver pubblicato un post sui propri social media. Si trattava di un’immagine con un cartello che recitava più o meno “ATTENZIONE: ubriachi, omosessuali, adulteri, bugiardi, fornicatori, ladri, atei, idolatri – L’INFERNO VI ASPETTA”. Il post non era il primo. Alcuni giorni prima, in seguito all’approvazione di una legge che rendeva più agevole il cambio del genere indicato nei certificati di nascita, si era disperato per la perdizione e la malvagità della sua nazione. Un anno prima, invece, alla domanda “Qual è il piano di Dio per gli omosessuali?”, sui social, aveva risposto “L’inferno.” La nazionale australiana, avendone avuto abbastanza di tutto ciò, nonostante le qualità del giocatore, ha infine preferito privarsene.

Nella mia vita, questa storia entra un giorno, nello spogliatoio della mia squadra di rugby. Mi si avvicina un mio compagno di squadra, uno che è anche militante di un centro sociale. Una persona molto impegnata, e in modo concreto, in tante lotte, tra cui quella contro l’omofobia. È un punto di riferimento per me e per il resto della squadra, in campo e fuori. Mi guarda, con il mezzo sorriso di chi sa di punzecchiare, e mi chiede “Ma… Quindi, tu che sei cristiano, la pensi così?”

Per carità, la domanda è fatta con bonaria polemica e non del tutto sinceramente. Sulla base delle nostre interazioni precedenti, le mie posizioni potevano essere dedotte senza sforzi di indagine particolari. Lascia, però, un senso di frustrazione e di delusione. È questo che siamo?

La risposta è un secco “NO” e sui motivi abbiamo speso tanti post di questa stessa rubrica. È evidente che la Bibbia non condanna l’omosessualità. Almeno, non la condanna in misura maggiore del mangiare gamberi o del ribellarsi ai genitori, atto che prevedeva la lapidazione da parte degli stessi. Non si leggono molti post nei social network che sostengono che la società sia vocata a Satana perché non rispetta queste norme. Così come non si legge quasi mai un post contro la ricchezza, sulla quale Gesù stesso ha speso qualche parola, qua e là.

Perché ci viene chiesto “Sei mica un pochino neonazista ad ispirazione religiosa pure tu?”. E perché nelle comunità dedicate all’attivismo LGBTQIA+ o politico in senso più ampio, ci si scaglia contro il cristianesimo e le religioni, additandole come fonte di quota consistente del male del mondo, facendo di tutta l’erba un… Fascio, letteralmente? Di fatto, questa generalizzazione è anch’essa una forma di discriminazione, soprattutto nei confronti di chi è cristiano o cristiana e ha sofferto molto nella ricerca di una comunità inclusiva o nella lotta per cambiare la propria. È una posizione che non solo calpesta queste persone, ma anche chi ha dovuto dolorosamente abbandonare le comunità o perdere la fede.

C’è quindi discriminazione contro i cristiani e le cristiane? No, o quantomeno non nel “mondo occidentale”. Si tratta di un tema pericoloso, perché ha degli inquietanti elementi affini: la millantata discriminazione degli uomini eterosessuali e cisgender, dei bianchi e della loro “libertà di espressione”. Tutto al maschile non per dimenticanza.. Sono tutte argomentazioni che piacciono molto alla destra, religiosa e non, soprattutto a quella chiaramente neonazista. Tornando un attimo anche ad Israel “Izzy” Folau: dopo essere stato cacciato dalla nazionale, ha fatto causa alla federazione responsabile della rescissione del contratto proprio per “discriminazione sulla base di un credo religioso” ed è finita con un accordo che è rimasto riservato.

Pur ammettendo di non essere un gruppo discriminato, essere attiviste cristiane ed attivisti cristiani può essere snervante. Viene spesso voglia di nascondere questa parte di noi… E forse è proprio qui che sta il problema. I miei compagni di squadra sapevano che io sono cristiano perché certi weekend in cui si giocava ero in giro per l’Italia per riunioni della chiesa e perché mi è capitato di arrivare tardi la domenica, il giorno della partita, perché c’erano la scuola domenicale o il culto del gruppo giovani. Insomma, non esattamente perché ho portato chissà quale testimonianza della mia fede e dell’azione di Dio nella mia vita.

Tuttɜ pazzɜ per Gesù:

Da circa un mese è tornata virale la testimonianza di Alessandro, il giovane “pazzo per Gesù” che, nel 2018, aveva fatto il giro dei social in Italia e aveva ispirato un servizio de Le iene, come sempre comprensive, aperte alle minoranze religiose e per nulla inclini a sbeffeggiare (sì, sono sarcastica, meglio metterlo in chiaro).

Alessandro appartiene a una chiesa cristiana evangelica di cui non ci è chiara la denominazione, ma di chiarissimo orientamento omofobo: appare evidente che il racconto della sua conversione alla fede cristiana si basa tutto sulla sua lotta contro l’omosessualità, identità che Satana gli avrebbe forzato addosso sin da bambino, fin quando non è arrivato Gesù, attraverso la preghiera, a restaurare l’eterosessualità perduta.

Anziché indignarsi per l’evidente violenza psicologica, o preoccuparsi per quel ragazzo così giovane, accettato e amato dalla sua stessa famiglia solo quando ha fatto professione di eterosessualità, il web ha ritenuto di poterlo prendere per i fondelli, ridendo di lui, della sua voce, delle sue movenze, e componendo un tormentone trash sul livello di “Non ce n’è Coviddi”, intitolato, appunto “Pazzo per Gesù”.

Non è questo il cristianesimo a cui mi sento di appartenere, ma questo cristianesimo c’è. Posso ignorarlo? Posso ignorare che dichiararsi di fede evangelica oggi in Italia generi un enorme fraintendimento nei nostri interlocutori, che immediatamente ci associano all’etica sessuale più retrograda dei nostri tempi? Oppure devo passare attraverso il pregiudizio opposto, quello per cui noi valdesi siamo “quelli gay friendly” e niente più?

Io l’Evangelo me lo rivendico, sempre. Evangelo significa buona notizia, e la buona notizia non è per un club esclusivo di gente che ha avuto la fortuna di nascere conforme alle aspettative sociali sul genere e la sessualità. Mi rivendico la mia identità cristiana di fronte a chi va giudicando la mia denominazione perché aperta alle coppie omoaffettive, accusandola di falso cristianesimo; e me la rivendico, allo stesso modo, di fronte a chi, senza conoscere il cristianesimo, lo associa indissolubilmente all’omofobia e al sessismo più becero, ritenendo quindi il nostro… un falso cristianesimo.

Ai cristianɜ di altre denominazioni che affermano che la mia fede è falsa rispondo, con molta serietà, che loro non sanno nulla del mio rapporto con Dio, e che se pensano, con le loro trollate, di farmi sentire meno accolta, meno amata, meno meritevole della sua grazia, hanno sbagliato persona. Purtroppo con moltɜ altrɜ ci riescono.

A chi invece è convintə che il cosiddetto cristianesimo liberale sia una versione light di quello fondamentalista, una fede all’acqua di rose, o che essere valdese si riduca soltanto all’essere gay friendly, dico invece che la fede cristiana, per fortuna, ha molte forme, e che esiste un cristianesimo diverso da quello sessista e omofobo, ma non per questo meno attento alla Scrittura, o meno coinvolto nella dimensione della preghiera. A me non dispiace essere etichettata come gay friendly, perché lo sono (anche se non userei questa parola per definirmi), però la mia identità di fede è altro: l’Evangelo, la grazia, il metodo storico critico, e da questo, conseguentemente, deriva la mia identità di femminista e attivista LGBTQIA+ cristiana.

Ad Alessandro, e a tutti gli Alessandro e le Alessandra che cercavano solo l’amore e il supporto di una comunità umana e per averli hanno subito pressioni, terapie riparative e altri danni, vorrei dire che anche io sono pazza per Gesù: per quel Gesù che ha guarito lo schiavo di un centurione romano, uno straniero oppressore, peraltro, senza chiedergli nulla su perché gli importasse tanto di quel ragazzo; per quel Gesù che ha discusso di fede con una donna straniera e si è lasciato convincere da lei; per quel Gesù che mi ha insegnato, e mi continua a ripetere, di amare i miei nemici, senza per questo negare che siano effettivamente miei nemici, ma ribadendo, sempre, che la Buona Notizia è per tuttɜ, e che non c’è montagna tanto alta, o mare tanto profondo, o pregiudizio tanto radicato, da separarci dall’amore di Dio per noi.

Per concludere…

Che cosa ci porta a vivere queste situazioni? È un destino ineluttabile o c’è qualcosa che possiamo fare?

 Crediamo nella laicità dello stato e siamo portate e portati a fare politica lasciando fuori la fede, fatto che rimane personale e privato. In più, la nostra “spiritualità culturale” di occidentali bianchɜ è poco scenografica: il massimo della libidine spirituale esibita pubblicamente è una bella conferenza di teologia oppure un cultone trasmesso in TV. C’è la preghiera, c’è il canto, c’è lo scambio di testimonianze personali, ma tendiamo a considerarle cose da fare in chiesa, tra di noi. Ci sono tante ragioni molto serie, ma si aggiunge anche il fatto che troviamo certe manifestazioni di fede e spiritualità irrimediabilmente cringe, termine che, per quanto cringe lui stesso, almeno vi trasmette un concetto chiaro senza che dobbiate leggere un lungo paragrafo di descrizione di disagio morale, fisico e spirituale di fronte a certi volantini, post sui social, striscioni, urla, applausi a Gesù…

Nonostante le mille ragioni di riservatezza, forse stiamo un po’ troppo volentieri nel nostro comodo armadio. Non c’è niente di male, di norma, a stare nell’armadio, ma in questo caso specifico dobbiamo tenere a mente che ci sono migliaia, anzi, milioni di persone che stanno là fuori e parlano al posto nostro. Parlano di quanto inferno attenda le persone LGBTQIA+, di quanto sia giusto ripudiare il proprio figlio o la propria figlia perché non si riconoscono nel genere che è stato assegnato loro alla nascita, di famiglia naturale, della necessità di una guida maschile. Tra l’altro, non sarebbe così male se parlassero e basta: agiscono, cambiano le leggi dello stato o rallentano il loro cambiamento, plasmano la vita di tutta la comunità. Il tutto dicendosi cristiane e cristiani e basta, perché al resto del mondo, per quanto possa meravigliarci e farci persino un po’ male, non interessa delle distinzioni tra denominazioni, sottodenominazioni e correnti di pensiero su cui molte e molti di noi, noi per primə, potrebbero tenere ore e ore di conferenza.

Quindi, per quanto sia agevole l’armadio, sarebbe ora di alzare la voce. Non per dire “Anche se sono cristianə, non sono omofobə!”. Piuttosto, quello che sentiamo di poter dire è “Io non sono omofobə perché seguo Gesù Cristo e nel suo messaggio d’amore non c’è spazio per questo.” La nostra fede non è qualcosa di cui ci dobbiamo giustificare, ma è ciò che siamo, è ciò che ci ha reso le persone che siamo. Per il nostro bene, dobbiamo essere noi a definire in che cosa consiste la nostra fede, altrimenti lo faranno altre persone.

È con questa idea che nasce anche il “#GiovedìQueer”: un progetto timido e a tratti claudicante, di cui però la nostra anima aveva bisogno qui e ora, senza poter aspettare che gli dessimo la forma perfetta e che trovassimo tutte le competenze per parlare irreprensibilmente. È timida, è limitata, è imperfetta, ma è una voce. Una voce che non saranno solo i nostri amici atei e le nostre amiche atee che ci prendono in giro a sentire. Potrebbe ascoltarci anche qualche adolescente, nella sua solitudine in qualche comunità fondamentalista, che si sente sporco, sporca, nel peccato, che sente di essere nato sbagliato o nata sbagliata. Che si trova ad un bivio in cui deve scegliere: abbandonare la fede in Dio o sopprimere ed annullare se stessə. Dio ci chiama a dire che il bivio non esiste: tu sei amatə. Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia (Isaia 41:10).