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Un viaggio nella teologia queer con Joseph Goh

Questo mese abbiamo deciso di intraprendere un viaggio all’interno della teologia queer, o meglio, delle teologie queer, e per farlo abbiamo chiesto l’aiuto di Joseph Goh, che ringraziamo moltissimo per sua disponibilità a farsi intervistare.  Joseph N. Goh è professore associato di Studi di Genere presso la School of Arts and Social Sciences nell’università di Monash (Malaysia). Ha conseguito un Dottorato in studi di genere, sessualità e teologia. I suoi interessi di ricerca riguardano gli studi queer e LGBTQIA+, i diritti umani e i disturbi legati alla salute sessuale, oltre che studi teologici e religiosi. È autore di numerose pubblicazioni tra le quali Doing Church at the Amplify Open and Affirming Conferences (2021), Becoming a Malaysian Trans Man (2020), Living Out Sexuality and Faith (2018).

1. Per chi non conosce la teologia queer, puoi raccontarci brevemente quando è nata, a quale esigenza risponde e di cosa si occupa?

Innanzi tutto grazie per avere pensato a me per questa intervista. È estremamente difficile indicare quando la teologia queer, o meglio le teologie queer, abbiano avuto inizio. Alcune persone che si occupano di questi studi vedono come spunto alla loro nascita l’emergere di teologie gay e lesbiche nel Nord America e in Europa a partire dalla fine degli anni ’60 fino all’inizio degli anni ’90. Esattamente come i movimenti di liberazione per gay e lesbiche miravano all’accettazione e all’assimilazione delle persone gay e lesbiche nella società, allo stesso modo le teologie gay e lesbiche erano interessate a sfidare l’ingiusta esclusione delle persone attratte dal proprio stesso sesso nelle chiese e nelle teologie.

Queste teologie volevano concedere lo spazio per i pensieri e le esperienze delle persone gay e lesbiche che, pur cristiane a tutti gli effetti, erano oggetto di disapprovazione ecclesiale e teologica. Le teologie gay e lesbiche hanno cercato di “adattarsi” al cristianesimo convenzionale, mentre contemporaneamente molte erano concentrate sull’attivismo riguardante l’AIDS, soprattutto negli anni ‘80. Tra le persone che si sono dedicate alla teologia gay e lesbica ricordiamo John McNeill, Elizabeth Stuart, Gary Comstock, Carter Heyward and Virginia Mollenkott.

A partire dalla fine degli anni ’90 è cominciata a crescere la preoccupazione che le teologie gay e lesbiche non fossero inclusive nei confronti delle persone bisessuali, transgender, intersessuali e non-binary, tanto per citare alcune delle possibili identità di genere ed orientamento sessuale. Si trattava inoltre di “teologie bianche”, condotte da persone della classe media americana ed europea, che non includevano le problematiche delle persone appartenenti ad altri gruppi etnici. È stato in questo periodo che si sono fatte strada le teologie queer attraverso gli scritti di Teresa DeLauretis, David Halperin, Judith Butler, Michael Warner and Eve Sedgwick, che hanno messo in discussione la fissità del genere, della sessualità e della biologia e hanno sfidato il potere delle narrative dominanti.

Teologi e teologhe progressistɜ, sotto lo stimolo di queste nuove idee, hanno incorporato sempre di più nei propri lavori queste nuove prospettive. In questo modo sono cresciute le teologie queer, che hanno riconosciuto ed incorporato i temi riguardanti le persone bisessuali, transgender e intersessuali. Le teologie queer hanno poi iniziato a mettere in discussione le tradizionali e incontestate nozioni attorno all’idea di Dio: sono quindi state introdotte le prospettive etniche, di classe, di abilismo e le influenze delle religioni non cristiane e delle filosofie. Tutti questi nuovi orizzonti hanno informato e modellato gli sforzi teologici. 

In sintesi, le teologie queer presentano una visione alternativa per comprendere la relazione tra Dio e gli esseri umani, prestando attenzione, ma non esclusivamente, alle esperienze e alle intuizioni delle persone LGBTQIA+. Alcuni nomi sono quelli di Isherwood, Gerard Loughlin, Hugo Cordova Quero, Aadrian van Klinken, Pamela Lightsey, Rose Wu, Andre Musskopf, Linn Tonstad, Justin Sabia-Tanis, Susannah Cornwall and Robyn Henderson-Espinoza.

Dobbiamo ricordare che non esiste una teologia neutra. Tutte le teologie sono contestualizzate e scritte con precisi obiettivi, che siano consci o inconsci. Fondamentalmente le teologie queer riconoscono e valorizzano le esperienze e le nozioni di Dio, della Bibbia e della chiesa dalla prospettiva delle persone LGBTQIA+. Così come esistono una “teologia nera” attenta all’esperienza di Dio delle persone nere, una “teologia asiatica” basata sull’esperienza di Dio delle persone asiatiche, e diverse teologie attente all’esperienza di Dio delle donne, quali le teologie “femminista”, “mujerista” (in particolare riferimento alle donne latinoamericane) e “womanist” (centrata sull’esperienza delle donne nere), allo stesso modo le teologie queer danno spazio all’esperienza di Dio fatta dalle persone LGBTQIA+.

Le teologie queer contengono quindi al loro interno le teologie lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali, erotiche, sessuali e anche una varietà di non ortodosse idee teologiche come quelle sul BDSM. Queste teologie cercano inoltre di sfidare e decostruire le nozioni di binarismo, eterosessualità, cisnormatività e di patriarcato che sono radicate in numerosi lavori teologici. È importante notare che esistono numerose forme di teologie queer e che queste non devono necessariamente portare l’etichetta di “queer” per affrontare i tratti distintivi di esse.

2. Le opposizioni al concetto di teologia queer: cosa temono quellɜ che si oppongono strenuamente al concetto di Dio queer? Marcela Althaus Reid si immagina il Dio Queer come un Dio che apre l’armadio e dice: “Ora sono Marlene Dietrich”[1]. Secondo tua visione, che forma ha il Dio Queer?

[1] Il Dio queer è un Dio che esce dall’armadio dicendo “non posso essere Dio, ho un’altra identità, ho bisogno di essere uomo”. Non è un gesto di donazione agli uomini, ma una necessità di Dio di rivelarsi. Dire: “Sono fragile, sono umano”. Uscire da questo armadio gli è costato caro. Questa è un’interpretazione nuova di Dio, a partire da un altro modo di rapportarsi con la divinità. Le metafore del Dio perfetto, della suprema sapienza, del terminato, derivano da un modo di pensare vecchio. Il Dio queer è un Dio inconcluso, in progress, ambiguo, dalle molteplici identità, che non finiamo mai di conoscere perché, quando arriviamo al termine, sfugge, è di più. Non voglio un Dio del centro egemonico, un re che ti visita nella favela, ti dà la mano e dice: “Io sono Dio, ho un regno e sono così buono da venirti a far visita. Però adesso, scusa, devo tornare nel Regno dei Cieli”. Parlo di un Dio che apre il suo armadio e diverte gli amici dicendo: “Ora sono Marlene Dietrich” (da “Il Dio Queer” di Marcela Althaus-Reid, teologa argentina e fondatrice della “Teologia Indecente”)

Il termine “queer”, nei paesi di lingua inglese, è stato inizialmente un termine profondamente dispregiativo per le persone LGBTQIA+, ma a partire dagli anni ’90 l’aggettivo è stato rivendicato come simbolo di orgoglio e onore, anche se non mancano persone LGBTQIA+ per le quali la parola “queer” ha ancora note pungenti.

Non sorprende quindi che per molte persone, tanto LGBTQIA+ che non, non sia accettabile accostare il termine “queer” alla teologia e, ancora di più, a Dio. Molte persone lo vedono come un insulto per il Cristianesimo. Più in generale, molte persone non sono a loro agio nell’associare la sessualità e le identità di genere a Dio e alla teologia.

Quando diciamo che Dio è queer, però, non stiamo necessariamente dicendo che Dio sia gay, lesbica, bisessuale o transgender, anche se è spesso utile nella teologia e nella spiritualità immaginare Dio in questi termini. Si tratta piuttosto di un gesto di intimità con Dio. La concezione queer di Dio così come immaginata da Althaus-Reid, in termini generali e a mio avviso, mette in evidenza innanzitutto l’idea per cui la teologia è stata sempre e solo confinata nella prospettiva etero-cisnormata. 

Non si può esprimere e parlare di Dio solo in questi termini che, per essere “comodi” e “decorosi”, risultano ormai essere escludenti. Esattamente come negli esseri umani sono rappresentati uno spettro ampio di identità di generi e orientamenti sessuali, infatti, anche Dio è uno spettro ampio di personalità. La “queerness” di Dio è evidente nel modo in cui rompe gli schemi e sfida le norme, come la Sua creazione, così varia e diversificata,  dimostra. In altre parole, Dio, che regala infinite sorprese, rifiuta di essere addomesticato dalle aspettative umane.

È in questo senso che dobbiamo considerare il concetto di “Dio queer”, questo è l’aspetto che “Dio queer” ha. Come già detto, la teologia non deve necessariamente essere etichettata come “queer” per mostrare i segni che ne contraddistinguono le teorie. Allo stesso modo, Dio non necessita dell’etichetta “queer” perché possa mostrarci come trasgredisca e rompa i confini e le aspettative. 

3. A che punto è la diffusione della teologia queer in Asia? E quali impedimenti incontrate?

L’Asia, naturalmente, non è tutta uguale. Le teologie queer stesse assumono stili molto vari anche a seconda delle regioni in cui nascono e si sviluppano. Non siamo molte persone ad essere coinvolte nel lavoro sulle teologie queer, ma per menzionarne alcune possiamo citare Christopher Rajkumar, Thomas Ninan, Philip Kuruvilla per l’Asia meridionale, Rose Wu e l’Accademia per la Teologia Queer in Asia orientale, Michael Sepidoza Campos, Stephen Suleeman, Sharon A. Bong e Teguh Wijaya Muly nel sud-est asiatico.

Ovviamente, accanto a queste persone ci sono tantissime figure pastorali molto attive nei vari ambiti della teologia queer, che spesso sono coinvolte anche in attivismo pratico vero e proprio. In alcune parti dell’Asia dobbiamo fare i conti con l’eredità coloniale e con tutte le impostazioni teologiche legate all’etero-cisnormatività che disconoscono le teologie queer, addirittura non riconoscendole come cristiane. In molti casi, poi, si devono fare i conti con la forte alleanza che si è instaurata tra queste visioni conservatrici del Cristianesimo e le realtà sociale e culturale, a cui a volte si accompagnano persino restrizioni legislative.

Io personalmente continuo ad usare elementi tratti dalle teorie e teologie queer anche per scrivere di teologia più incentrata su prospettive sociologiche, per questo motivo mi sento di poter affermare che la mia teologia possa essere definita “teologia pratica queer” o “teologia queer con i piedi per terra” . Le fonti principali delle mie impostazioni teologiche sono le stesse storie e narrazioni delle persone LGBTQIA+, potete trovare alcuni dei miei lavori all’indirizzo josephgoh.org/publications .

4. Leggere e studiare la Bibbia alla luce della teoria della queerness che riflesso dà a quei passaggi che vengono utilizzati per rimarcare il sistema patriarcale da cui deriva l’omobitransfobia?

È davvero triste che la Bibbia, che dovrebbe essere uno strumento di “empowerment”, sviluppo e crescita di tutte le persone, venga usata per attaccare le persone LGBTQIA+. L’approccio queer evidenzia il fatto che la Bibbia contenga intrinsecamente elementi etero-cisnormativi, patriarcali e sessisti.

Costruita sui fondamenti della teologia gay e lesbica, l’approccio della teologia queer mira a decostruire il preconcetto per cui i riferimenti biblici a pratiche sessuali tra persone dello stesso sesso e ad ambiguità di genere siano riferibili o rappresentativi delle persone LGBTQIA+ di oggi. Si tratta di due realtà distinte. Le traduzioni della Bibbia utilizzano parole moderne per parlare di vite che, nell’antichità, erano molto diverse.

Le parole “omosessuale”, “gay” e “trans”, così come noi le conosciamo e comprendiamo oggi, all’epoca non esistevano. Siamo dunque di fronte ad un anacronismo e non dobbiamo leggere la Bibbia anacronisticamente. Tutti i divieti ed i passaggi punitivi contenuti nella Bibbia non sono quindi necessariamente contro le persone LGBTQIA+, come molte autorità ecclesiastiche pensano invece che siano, ma potrebbero piuttosto essere riferiti ad atti di violenza, oppure  allusioni mitiche per descrivere la relazione tra Dio e gli esseri umani o tra gli umani stessi. In realtà, non lo sappiamo.

Ma anche se questi passaggi fossero realmente da intendere come una condanna delle diverse identità di genere e dei molteplici orientamenti sessuali, dobbiamo ricordare che sono stati scritti in un preciso momento storico ed in uno specifico contesto culturale. Alcunɜ studiosɜ vedono nella Bibbia riferimenti a coppie dello stesso sesso, a persone transgender o genderqueer,; tra questɜ vi è chi utilizza termini accoglienti nei confronti delle persone LGBTQIA+ nell’eseguire l’esegesi di tali passaggi.

5. Sappiamo che sei cattolico. Come commenti la posizione presa dalla Chiesa Cattolica di non benedire le persone LGBTQIA+?

Sono cattolico sì, ma non sono membro della chiesa cattolica romana: appartengo infatti ad un movimento cattolico indipendente. Per questo motivo non sento di avere bisogno di un’approvazione da parte di Roma, anche se al tempo stesso non posso non ammettere che il cattolicesimo romano abbia un  impatto sulla mia vita. Ovviamente mi influenza, sia direttamente che indirettamente.

In aggiunta, nella mia vita ci sono molte persone a me care che continuano a cercare nel Vaticano una guida da seguire e da cui ricevere approvazione; per loro, quindi, una benedizione delle loro unioni da parte della chiesa sarebbe importante sia a livello personale che sociale. Come ogni organizzazione, il Vaticano ha le sue proprie e specifiche regole e la sua personale visione di cosa sia l’identità di genere, la sessualità e il matrimonio.

Pur rispettando la visione del Vaticano circa l’omosessualità, la vita sessuale tra persone dello stesso sesso e il matrimonio tra esse, mi sembra che questo bisogno di legittimare e sostenere la superiorità della visione cis-eteronormativa significhi dimenticare che l’amore può esprimersi anche in altre forme che possono essere anche non convenzionali.

L’amore attivo di Dio, quello condiviso tra il Creatore e Cristo, continua a manifestarsi attraverso l’azione dello Spirito Santo nel cuore di ogni essere umano che sperimenta, manifesta e si impegna nell’amore. Disconoscendo l’amore tra due (ma anche tre) persone dello stesso sesso, come anche tra persone cis e transgender, il cattolicesimo romano rifiuta di guardare all’amore di Dio che lavora attivamente in maniera inaspettata, estesa e strabiliante.

Penso che la chiesa cattolica romana, e molte altre chiese, debbano recuperare e riscoprire la “queerness” insita nelle  prospettive inusuali che sono segno distintivo e fondante del Cristianesimo: si pensi ad esempio al fatto che Dio si è fatto uomo e che  Cristo è nato da una vergine. Il Cristianesimo è estremamente queer, strambo, sono molteplici le testimonianze bibliche che mostrano Dio rompere le norme, e quindi in un certo senso non si può non dire che Dio sia estremamente queer.