#GiovedìQueer News

Le nostre testimonianze – pt.1

Il gruppo di lavoro del GiovedìQueer ci offre questo mese le testimonianze di persone LGBTQ+ che raccontano la loro esperienza di credenti e membri di chiesa.

Come mi sento, io persona queer, nelle chiese protestanti italiane? Come mi sono avvicinat*? Ci sono ragazz* che lasciano il cristianesimo perché non trovano accoglienza in quanto appartenenti alla comunità LGBTQI+. Pensi che sia un problema che riguarda anche noi chiese protestanti? Credi che ci sia ancora qualcosa da dire o da fare riguardo questa tematica?

Queste sono alcune delle domande a cui hanno risposto.

Carmine, Napoli:

Conoscevo da molti anni, prima di entrare a farvi parte, la Chiesa Valdese. Il primo contatto è avvenuto all’interno dell’associazione “I ponti sospesi”, costituita da persone credenti con orientamento omo-affettivo, e risale circa al 2007, in occasione di una veglia di preghiera per le vittime dell’omofobia. Ma il mio percorso inizia ben prima. Ho frequentato la Chiesa Cattolica fin da piccolo, lasciandola e ritornandovi diverse volte. In tutti quegli anni guardando la trasmissione televisiva “Protestantesimo”, o seguendo un culto evangelico quando veniva, ascoltavo quanto desideravo trovare nella Chiesa Cattolica. Il momento di riflessione in cui tutto quello che già non condividevo con il Cattolicesimo ha assunto una dimensione insopportabile, si è rivelato circa sette anni fa quando su invito di una collega ho partecipato ad un’esperienza a Medugorje. Non ho mai accettato interpretazioni “magiche” della realtà: mi veniva rimproverato di non avere fede e che le mie osservazioni erano fuori luogo. Così ho maturato il desiderio di “approdare” alla Chiesa Valdese. Nelle chiese protestanti, non soltanto mi sento in un ambiente che pratica l’accoglienza per chi, viene solitamente definito “diverso”, ma anzi sento rispettata la percezione di essere e vivere come altro, tra altri, senza che venga praticata alcuna sorta di “concessione” in deroga al Vangelo. Eppure non voglio dire sia tutto perfetto, al di là delle indicazioni sinodali, all’interno di alcune chiese locali il problema è ancora aperto, specie in quelle in cui è consistente il numero di persone immigrate. Quello che la mia esperienza può raccontare è che i contesti in cui viviamo contribuiscano alle scelte che compiamo: quanto non riuscivo a “fare”, quando era “legato” al contesto cattolico, si è rivelato, invece, attuabile e attuato nella mia esperienza nel contesto cristiano evangelico. Non abbiamo, grazie a Dio, un Magistero infallibile, come in altre confessioni e/o religioni, che si illude di poter dare prescrizioni morali; d’altra parte, i percorsi umani di ridefinizione delle proprie prospettive, pur sostenuti dal Signore, necessitano del tempo necessario.

Manuela, Roma:

Offrire un luogo, ovvero una comunità, dove le persone possano esprimere la propria fede e viverla nella serenità del proprio essere è un tema, non un problema, che riguarda tutti e tutte e quindi anche noi. C’è molto ancora da fare anche se la maggior parte del cammino è stato fatto. Dobbiamo aiutare le persone LGBTQI+ a viversi all’interno delle comunità in modo sereno. Intendo dire che dobbiamo lavorare sull’inclusione in termini di linguaggio o atteggiamento (hanno pudore a dire o a presentare il o la propria compagno/a?) senza andare verso l’atteggiamento opposto della continua sottolineatura della propria identità sessuale. Dobbiamo lavorare per scardinare quei flussi mentali che portano le persone a ricondurre tutto ad una questione sessuale e lo possiamo fare se, prima di tutto, siamo noi a proporci per altro e per altre cose. Mia moglie ed io abbiamo ricevuto la benedizione del nostro amore nella chiesa valdese di piazza Cavour nel 2013 dopo due anni mezzo dalla storica decisione del Sinodo 2010. È stato un cammino lungo, a volte sofferto, che ha costretto tutti e tutte noi della comunità a porci delle domande importanti. Ci sono stati dei momenti che avrei voluto lasciar perdere e sono sicura che lo stesso sentimento era condiviso anche da altri e altre. Ma l’amore, l’amore per la mia chiesa e la mia comunità, la fede e la speranza, mi hanno dato la forza e fatto trovare le parole giuste per farci conoscere senza offendere nessuno, senza escludere nessuno. Il giorno della nostra benedizione sono venuti in chiesa anche coloro che non erano d’accordo; ricorderò sempre uno di loro in particolare che quando gli ho detto che non pensavo che l’avrei visto in chiesa mi ha abbracciato e mi ha detto: “Non potevo mancare Manuela, ti voglio bene!”

Marcelo, Roma:

Vengo dal Brasile e nonostante le gravi problematiche (specie verso le persone trans) che si riscontrano nel mio paese e che sono note a tutti, finché non sono arrivato in Italia non avevo idea di quanto, specie fra i giovani, mancasse un’idea o una conoscenza di un cristianesimo progressista. Un ragazzo tempo fa mi ha detto “Come faccio a credere in Dio se sono gay?” come se si potesse essere solo l’una o l’altra cosa. Sono rimasto scioccato. Credo che questo in Italia sia anche dovuto al fatto che il protestantesimo storico sia meno diffuso rispetto al cattolicesimo, che è meno accogliente verso la comunità LGBTQI+ delle nostre chiese riformate. Io sono sempre stato luterano ed arrivato a Roma ho avuto difficoltà ad inserirmi nella comunità luterana per una questione linguistica. Mi sono dunque messo alla ricerca di una nuova chiesa e nella mia ricerca ho ritenuto importante trovarne una che fosse accogliente con le persone della comunità LGBTQ+. Rispetto alla società italiana, nelle nostre chiese la situazione è assai migliore, anzi non credo ci sia troppo altro da fare in tema di accoglienza.

Aurora, Roma:

Sono queer e sono nata in una famiglia anti-religiosa che mi ha sempre vietato qualsiasi frequentazione religiosa. Nonostante questo, sentivo la mia fede nel Signore e appena uscita di casa ho desiderato di coltivare il mio credo. Non potevo andare nella Chiesa cattolica poiché mi sentivo giudicata e disprezzata per la mia natura ma fortunatamente ho scoperto che esiste una Chiesa che mi avrebbe accolta per quello che sono veramente, dove non dovermi vergognare per chi voglio amare, perché non mi importa il mio sesso o quello di chi amo. In Italia è stata assorbita la cultura cattolica, ad oggi ancora la più diffusa e spesso mi sono scontrata sui temi LGBT+ con familiari e colleghi, a cui nascondo il mio orientamento sessuale. Il dono più grande che mi ha fatto la Chiesa Valdese è stato sentirmi amata per chi sono davvero e sapere che chiunque vorrò sposare (che sia un uomo, una donna, una persona queer) davanti al Signore, andrà bene.

Vuoi collaborare anche tu con la tua testimonianza? scrivi a: giovediqueer.fgei@gmail.com.

Le testimonianze continuano il prossimo giovedì, vi aspettiamo!