#GiovedìQueer

Le nostre testimonianze – pt 2

Ecco la seconda parte delle interviste del #GiovedìQueer. Questa volta abbiamo le testimonianze di Davide, Gabriele e Serena:

Davide, Napoli:

Sono protestante per scelta, battezzato a sedici anni, e durante il colloquio con il Concistoro della mia Comunità dissi chiaramente che ero gay. La risposta fu un applauso. L’approccio all’omosessualità nelle chiese protestanti è un approccio pragmatico, e quindi positivo.  Si ricorda che la Fede in Dio non guarda chi amiamo, ma guarda, molto semplicemente, al fatto che si ami; e quindi questo amore deve anche vedersi riconosciuto nella dimensione umana della Chiesa, nel riconoscimento delle unioni affettive, nei battesimi dei figli di “famiglie arcobaleno”, e via dicendo. Può migliorare forse la spiegazione all’esterno di queste riflessioni senza lasciare che si releghino ad annunci fatti in conferenza stampa durante il Sinodo o che siano tramandate dai Consigli di Chiesa\Concistori alla Comunità per rimanere poi lì. Sicuramente tutto è migliorabile perché è umano, quindi anche l’accoglienza, il rispetto, l’ascolto, e il sostegno alle persone, soprattutto giovani, LGBTQ+ può migliorare.

Gabriele, Palermo:

Sono un giovane gay, e penso che la chiesa e le persone che al suo interno mi hanno accompagnato e guidato mi abbiano aiutato a fare il passo dell’auto accettazione. Sono nato in una famiglia valdese, ho frequentato fin da piccolo la chiesa del mio paese e ho svolto il percorso di formazione fino al battesimo a sedici anni. Quello che mi affascina, mi lega e mi fa amare la chiesa è l’attenzione al soggetto in tutte le sue sfumature. Penso che il mondo delle chiese protestanti (in Italia quelle BMV) abbia sempre cercato di far emergere il significato della Parola che si incarna e che chiama nel cuore delle nostre vite, che abbatte le barriere che si costruiscono e rimette al centro chi ne era stato/a allontanato/a: questo per me è il senso dell’annuncio. Credo che le nostre chiese abbiano sempre e di nuovo bisogno di riflettere su queste tematiche, affrontarle nei momenti di incontro e formazione, prima fra tutte il culto. L’inclusione e l’accettazione dell’altr* non si fermano mai, ma chiamano a modificare anche il nostro modo di vivere la fede, di costruire le liturgie e di leggere ed ascoltare la Parola e le persone. Proprio perché tanti e tante giovani LGBTQI+ s’allontanano dalle chiese penso che dovremmo sempre di più valorizzare questo aspetto di inclusione e valorizzazione del soggetto che ci caratterizza da sempre. Questo, però, vuol dire essere disposti/e a farci trasformare nel linguaggio, nel pensiero, nella prassi e nella teologia. Quello che temo di più è che all’interno delle nostre chiese si preferisca “non dire troppo”, favorendo così il formarsi di fratture silenziose che possono indebolire, separare e alla fine far crollare. Personalmente, l’esperienza di fede che vivo nella chiesa valdese, nella FGEI e negli altri spazi è proprio quella di poter essere, apprezzare e dire la persona che sono, e credo che avere una chiesa che ti sostiene e ti accompagna e ti permette di servirla nei modi più differenti sia uno dei doni più belli. Una cosa che vorrei dire è non fermiamoci quando pensiamo che le cose siano finite: la fede ci invita a guardare oltre, continuare a superare quei margini nei quali releghiamo o ci troviamo relegati/e a riscoprire l’annuncio della grazia che ti rialza ti rimette al centro e ti dice che tu, soggetto, con la tua identità, la storia, la tua affettività sei importante e prezioso/a agli occhi di Dio.

Serena, Metodista:

Ho un compagno, ma questo non fa di me un’eterosessuale: nella vita ho incontrato più di una volta l’amore per una donna. Ho fatto coming out con un numero abbastanza ristretto di persone, con le quali mi sento sicura, e fra queste ce ne sono diverse che appartengono al mondo metodista e valdese. Nonostante io non abbia fatto del tutto coming out, sono certa che, a parte forse un certo shock iniziale, la mia comunità non smetterebbe di volermi bene, né di considerare valide le mie capacità e le mie scelte, se una domenica arrivassi al culto presentando una mia compagna.
Da un lato, come chiesa, siamo noti anche per questa nostra accoglienza verso le persone LGBT, ma dall’altro sento che in Italia siamo ancora troppo poco conosciuti, e che potremmo essere più visibili nella lotta contro l’omofobia: questo non perché dobbiamo convertire “per forza” tutte le persone LGBT al protestantesimo, ma semplicemente esserci per chi cerca la Buona Notizia, che per me è l’annuncio che siamo liber* dal giogo del peccato, amat* per ciò che siamo, fatt* in modo stupendo, e che nulla può separarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo.
Credo che quella valdo-metodista sia una realtà unica nel nostro paese, in quanto chiesa che esplicitamente e senza contraddizioni accoglie le persone LGBT non soltanto nella loro dimensione identitaria, ma anche negli aspetti pratici, come la vita di coppia. E questo l’ha portata anche, prima dello stato italiano, a riconoscere l’unione tra due persone dello stesso sesso, e quindi, di riflesso, ad accettare la possibilità che coppie apertamente omosessuali siano parte del tessuto comunitario, che ci siano membri del consiglio di chiesa gay, monitrici della scuola domenicale lesbiche, direttori di coro bisessuali, cassiere trans. Forse penserete che sto esagerando, che oggi non in tutte le comunità queste figure sarebbero accettate di buon grado, e forse, anche in quelle più aperte, ci sarebbero persone contrarie a rivolgere vocazione a sorelle e fratelli di chiesa LGBT; forse, in qualche caso accetterebbero sì la persona e il ruolo, ma rifiutando di riconoscere la sua identità. È su questo che dobbiamo ancora lavorare: la consapevolezza che il canone eteronormativo ha falsato la nostra percezione su quante sono veramente le persone queer. Le statistiche parlano di 1/10, 1/14 o addirittura 1/7, ma quel che è chiaro è che sono molte, molte di più di quanto siamo abituat* a pensare. Ecco, credo che dobbiamo imparare a fare due passi: un passo avanti, verso la piena accettazione di qualunque orientamento sessuale e identità di genere ci venga incontro, e un passo indietro, non dando per scontato l’orientamento o il genere della persona che abbiamo accanto, in chiesa come altrove, e incontrarla in quanto nostro prossimo, che Gesù ci ha chiamat* ad amare.

Vuoi collaborare anche tu con la tua testimonianza? scrivici a: giovediqueer.fgei@gmail.com.