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#GiovedìQueer News

GiovedìQueer: Summer Edition!

“Un altro personaggio queer? Ma perché cosa aggiunge alla storia?”

Niente e tutto, esattamente come i personaggi cisetero. 

Negli ultimi anni finalmente la visibilità della comunità LGBTQIA+ sta entrando a pieno titolo in film e serie tv, molte sono le serie dichiaratamente queer – ne abbiamo segnalata qualcuna lo scorso anno –  ma soprattutto molte cominciano ad essere le serie tv che non trattano dichiaratamente argomenti LGBTQIA+ ma che nella cui trama si incontrano personaggi queer che nascono come tali o che si confrontano con il proprio personale coming out. 

Lungi dall’essere mode del momento – come alcune persone omolesbobitransqueerfobiche lamentano – queste serie offrono uno specchio del mondo così com’è ovvero non più limitato alla norma cisetero ormai obsoleta.

L’impatto che i personaggi LGBTQIA+ hanno all’interno delle serie tv non queer è a mio avviso ancora maggiore di quello che hanno nelle serie che trattano argomenti specifici. Il motivo è che appunto hanno lo scopo di normalizzare la varietà di orientamenti sessuali ed identità di genere. 

Tra questi personaggi molti sono bi+ (bisessuali/biromantiche e pansessuali/panromantiche)

“Beh perché così è più facile da adattare alla trama!” diranno alcune persone, eppure da persona bi ho notato che pur essendo momenti naturalmente marginali all’interno della trama i coming out dei personaggi bi+ mostrano – e nel farlo si propongono di superare – gli stereotipi legati agli orientamenti non monosessuali. 

Vi segnalo quindi alcuni telefilm di vario genere al cui interno ci sono personaggi bi+: 

Crazy ex Girlfriend – Commedia musicale romantica

Rebecca, avvocata newyorkese di successo, stravolge interamente la sua vita trasferendosi in un piccolo paesino della California ispirata dalla pubblicità di un burro e dell’incontro con il suo fidanzato estivo della adolescenza.

Se vi piacciono i musical dovete vederlo, se com me invece NON vi piacciono questa delirante commedia farà eccezione.

In questa serie tv musical troverete uno dei più begli inni sulla bisessualità (+++ ALLERTA SPOILER +++)

Jane the virgin – Commedia

Jane è una giovane che studia per diventare insegnante e che vuole restare vergine fino al matrimonio, tuttavia per un errore medico resterà incinta di uno sconosciuto milionario.

Si tratta di una parodia delle telenovelas sud americane.

In questa serie viene mostrato e condannato il pregiudizio per cui una persona b+i non sarà mai soddisfatta da una sola persona e quindi sarebbe infedele e promiscua.

(Ndr. C’è anche una battuta sul fatto che i protestanti acquistano toys nei sexy shops)

Atypical – Commedia drammatica

Sam, un ragazzo che rientra nello spettro dell’autismo, alla soglia dei suoi 18 anni comincia a chiedere maggiore indipendenza.

In questa serie viene mostrata la difficoltà nel trovare la propria etichetta bi+ passando la sensazione di non appartenere a nessun luogo o comunità.

Brooklin 99 – Commedia poliziesca

Un nuovo e severo commissario di polizia stravolge la vita del giovane e indisciplinato Jake Peralta e dell’intera squadra di detective.

In questa serie il personaggi bi+ si scontra con la propria famiglia che accetta la bisessualità solo a patto che sia una fase e che ci si possa forzare a scegliere un rapporto eteronormato.

Special – Commedia

Questa è la serie che mi ha senz’altro colpito di più quest’anno. Basata sul libro “I’m Special: and Other Lies We Tell Ourselves” (2015) di Ryan O’Connell (anche protagonista e regista della serie) racconta la storia di liberazione e di ricerca della identità di un ragazzo gay con una lieve forma di paralisi celebrale. La serie tratta in maniera intersezionale la tematica della disabilità unita all’omosessualità e lo fa in un modo magistrale ed estremamente accurato. Racconta gli stereotipi che vive una persona queer disabile senza pietismi di alcun tipo e senza la volontà di ispirare necessariamente gli spettatori (se non sai di cosa parlo cerca su Google il termine “Ispirational Porn”). “I’m not really interested in making people feel comfortable with my existence”, in questa citazione c’è la chiave di tutta la serie. 


Siete anche voi fra quelle persone che solo d’estate trovano il tempo di leggere? E addirittura siete fra quelle che scelgono letture niente affatto banali da portare sotto l’ombrellone? E magari vi va di approfondire alcuni aspetti particolari delle identità queer e di come, purtroppo, molte chiese e famiglie cristiane le hanno osteggiate? C’è un’autrice che parla di tutto questo e che vorrei presentarvi. 

Il suo nome è Jeannette Winterson, ed è è una scrittrice britannica la cui storia personale si intreccia costantemente con i suoi romanzi. Qui vorrei parlarvi in particolare di due pubblicazioni, di cui una sola è un romanzo in senso stretto, mentre l’altra è piuttosto un libro di memorie, ma entrambe raccontano, da due angolazioni diverse, lo stesso vissuto.

Non ci sono solo le arance

In questo romanzo leggiamo la storia di una giovanissima, adottata da una famiglia che frequenta una chiesa cristiana fondamentalista non meglio specificata, in cui viene inserita e accompagnata sin dall’infanzia; la protagonista, che è anche l’io narrante, prende entusiasticamente parte a tutte le attività della chiesa, fino a quando non si innamora di una ragazza. Vi raccomando di leggerlo tenendo presente un paio di trigger warning: ci sono scene di abuso fisico e psicologico, gaslighting, ostracismo, insomma, tutto ciò che ci si può aspettare da una famiglia e una chiesa fondamentaliste, oltre al tema dell’adozione e delle aspettative dei genitori nei confronti della figlia. Non è un romanzo facile, seppure è scritto in modo da potersi leggere con facilità: è, però, un romanzo necessario, anche per aprire gli occhi non solo su quanto dolore può causare una comunità respingente (famigliare e di fede, che noi protestanti italiani sappiamo bene essere strettamente interconnesse, se non praticamente la stessa cosa); ma anche su quanto la comunità perde nel respingere credenti che hanno una fede autentica, dei doni preziosi, e che potrebbero aiutarla a crescere spiritualmente anche predicando l’Evangelo.

Perché essere felice quando puoi essere normale?

In questo memoriale l’autrice ripercorre tutta la propria vita, e dunque anche gli episodi che hanno dato vita al romanzo “Non ci sono solo le arance”, rivelando i pochi cambiamenti apportati ai fatti realmente accaduti, e raccontandone anche i retroscena, come la reazione al successo e alla fama dell’autrice da parte della famiglia. Molto altro viene raccontato e perciò come trigger warning mi sento di aggiungere a quelli già indicati i temi legati alla salute mentale, come la depressione e il suicidio. Tra i suoi punti di forza c’è la narrazione del rapporto dell’autrice con la letteratura e la poesia e sul loro valore terapeutico:

Non c’era nessuno che potesse aiutarmi, ma i versi di T.S. Eliot mi furono d’aiuto. Quando sento dire che la poesia è un lusso, o un’opzione, un prodotto riservato alla classe media colta, che non dovrebbe essere letta a scuola perché non è essenziale, tutte le cose stupide e bizzarre che si dicono sulla poesia e sul posto che occupa nelle nostre vite, mi viene il sospetto che la gente che parla così abbia avuto la vita facile. Una vita difficile ha bisogno di una lingua difficile, perché difficile è il linguaggio della poesia. Ecco cosa ci offre la letteratura: il potere di dire le cose come stanno. Non è un luogo dove nascondersi. È un luogo dove ritrovarsi.

Chiunque sia appassionatə di letteratura e di lettura sa benissimo tutto questo, ma è importante ricordarsene, e continuare a esplorare nuovi testi e nuovɜ autorɜ, perché potrebbero, letteralmente, salvarci la vita.


Articolo a cura del gruppo di lavoro GiovedìQueer

Per i consigli delle serie TV: Emma e Giulia

Per i consigli libreschi: Irene