#GiovedìQueer

Avere una figlia trans è un dono, non un lutto

Sono madre di una ragazza trans, e in quanto tale mi chiedono regolarmente interviste. Di solito dico di sì, fintanto che posso restare anonima. Lo dico perché voglio proteggere il più possibile la privacy di mia figlia, perché, seppure lei mi ha detto che le sta bene che io parli dell’avere una figlia trans, è ancora giovane, e potrebbe cambiare idea. Quindi mi mantengo cauta e non dico nulla che penso possa, in futuro, sconvolgerla, pur essendo consapevole che è importante che le voci dei giovani trans e delle loro famiglie siano ascoltate. Una domanda che mi viene ripetutamente fatta durante le interviste è se provo un senso di perdita.

Voglio parlare di questa domanda, e di quanto suoni offensiva. La figlia sana, felice, amorevole e gentile che amo era esattamente la stessa, sia quando pensavo che fosse un ragazzo, sia dopo, quando mi ha rivelato di essere una ragazza. I fatti che sono cambiati in quei pochi secondi sono irrilevanti per il mio cuore di madre. “Ora ho un’altra figlia”: questa era la somma dei miei pensieri, in quel momento.

Non sono mai stata legata all’aspettativa che i miei figli che si vestissero in un certo modo, o mantenessero i loro nomi, o avessero per tutta la vita determinati pronomi. Non ho bisogno che i miei figli realizzino il mio ideale di genere per garantire loro il mio amore. Trovo orribile l’idea di imporre una rigida espressione di identità a chiunque – soprattutto ai miei figli.

Se fossi affidata alle cure di qualcuno che mi costringe, contro la mia volontà, a comportarmi come un maschio,  a vivere secondo il suo standard di mascolinità, lo considererei un abuso. Sapere come si sentiva mia figlia mi ha permesso di liberarla dall’idea che avesse bisogno di presentarsi come un maschio per essere amata. L’unico rimpianto che ho è che mia figlia, per un po’, si sia sentita così, e che le ci sia voluto tanto tempo per dirmelo. Mi sono sentita molto male a pensare a tutti quegli anni che ha trascorso pensando di dover fingere.

Quando penso alle persone che amo di più al mondo, non le catalogo in base a chi ha un nome che mi piace, o a quali pronomi usano o in quale genere si identificano: sono solo sciocche definizioni arbitrarie. Penso alle persone che sono, a qual è il loro spirito e a come interagisce il loro spirito meraviglioso con il mio. Così è con i miei figli. Perché mai il loro nome o genere dovrebbe cambiare l’amore che provo per loro?

Suggerire di aver subito una sorta di “perdita” implicherebbe che io consideri più valido mio figlio che aderisce alle idee sessiste sulla femminilità o sulla mascolinità, piuttosto che mia figlia, in grado di esprimere liberamente la sua vera identità. Faccio fatica a vedere dov’è la “perdita”. Sicuramente ho solo “guadagnato”  una bambina più felice, più soddisfatta e sicura,  che non è paralizzata dalla sensazione di essere sbagliata, che non trascorre la sua vita a recitare la mascolinità per me e per la società. Ho guadagnato così tanto dall’avere una figlia trans! Tutta la nostra famiglia ne ha guadagnato, la nostra scuola ne ha guadagnato, la nostra comunità ne ha guadagnato. Non c’è niente da perdere, semmai c’è da vincere.

Ho incontrato persone che hanno reagito male quando ho detto che non provavo alcun senso di perdita, come se, forse, questo fosse la causa scatenante dell’identità trans di mia figlia. Mi sono sentita condannata e giudicata a causa della mia accettazione del percorso di mia figlia e del mio e suo rifiuto di aderire alle norme di genere. È un mondo turbolento, in cui l’accettazione amorevole di un genitore può essere percepita come una reazione strana. Immagino che sia stato così anche per i genitori che si sono mostrati accoglienti verso i loro figli gay qualche decennio fa: la società era sconcertata dal fatto che non stavano costringendo i loro figli ad agire “normalmente”.

Nessuno dei miei figli è “normale”. Non siamo una famiglia tipica. Siamo una famiglia disordinata, con cognomi, orari e necessità diversi. Mia figlia trans è l’ultima delle mie preoccupazioni genitoriali. È la mia bambina più tranquilla, inserita e felice. Chissà poi quale sessualità avranno i miei figli -e chi se ne importa! Ciò che indossano i miei figli, cosa desiderano, quali nomi vogliono usare e a quale genere appartengono sono veramente in fondo nella mia lista delle qualità importanti.

Mi interessano, semmai, la gentilezza, il rispetto e la felicità. Essere in grado di vivere il suo vero genere ha reso mia figlia molto più felice. Questo è un guadagno, sia per lei che per me. Il fatto che mi venga chiesto se provo un senso di perdita, ora che so che è una ragazza, mi fa arrabbiare. Come se il mio bambino fosse in qualche modo morto, come se la figlia che ho adesso fosse in qualche modo, sbagliata, non funzionante, un fantasma di quell’ex-bambino. Ma mia figlia è la stessa identica persona, con lo stesso carattere, le stesse simpatie, antipatie, gli stessi amici e interessi di quando pensavo che fosse un maschio. La sua salute è buona. È ancora viva.

Non avevo immaginato un futuro per lei come uomo etero, perché non ho aspettative che nessuno dei miei figli sarà o vivrà in un certo modo. Non so come saranno o che tipo di futuro avranno: dipende da loro. Il massimo che ho osato sperare è che i miei figli fossero gentili con sé stessi e con gli altri, e che fossero felici. Per ora, mia figlia è tutte queste cose, e questo mi basta.

Traduzione a cura del gruppo GiovedìQueer: puoi trovare l’articolo originale cliccando QUI